Palazzo Medici Riccardi
Nel programma politico-culturale di Lorenzo de’ Medici (Firenze, 1449-1492; al governo dal 1469), la lingua ha un ruolo di spicco. L’aspirazione al primato di Firenze e dello Stato mediceo è accompagnata, infatti, da una precisa politica linguistica. Innanzitutto, insieme a letterati del calibro di Cristoforo Landino e Angelo Poliziano, Lorenzo è protagonista di una rivalutazione della lingua e della cultura volgare, in contrasto con la preferenza accordata al latino dall’Umanesimo di primo Quattrocento. Sotto la guida del Magnifico e della sua corte, la cultura fiorentina quattrocentesca rivendica inoltre l’eredità di Dante e del grande Trecento fiorentino, nel tentativo di evitare che i non toscani se ne approprino definitivamente. Lorenzo parte da un presupposto chiaro: c’è continuità fra la tradizione toscana trecentesca e quella del suo secolo. In questo contesto si colloca la cosiddetta Raccolta aragonese (1477), inviata in dono dal Magnifico a Federico d’Aragona, figlio del re di Napoli: si tratta di un’antologia di testi poetici toscani di ogni epoca, dal Duecento al Quattrocento, il cui obiettivo è promuovere lingua e letteratura fiorentine. Il fiorentino parlato e scritto da Lorenzo e dai suoi contemporanei non è più però quello aureo di Dante, Petrarca e Boccaccio, bensì il frutto di una serie di innovazioni successive che sono state raccolte sotto l’etichetta di fiorentino argenteo.
Lorenzo il Magnifico e la propaganda linguistica
Giorgio Vasari, Ritratto di Lorenzo il Magnifico, 1534, olio su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi.
Vero e proprio ago della bilancia della politica italiana del secondo Quattrocento, Lorenzo ha ospitato presso la sua corte uomini di cultura, poeti, pittori, architetti e scultori, tanto da essere ricordato come il più grande mecenate del suo tempo.
Vero e proprio ago della bilancia della politica italiana del secondo Quattrocento, Lorenzo ha ospitato presso la sua corte uomini di cultura, poeti, pittori, architetti e scultori, tanto da essere ricordato come il più grande mecenate del suo tempo.
Nel programma politico-culturale di Lorenzo de’ Medici (Firenze, 1449-1492; al governo dal 1469), la lingua ha un ruolo di spicco. L’aspirazione al primato di Firenze e dello Stato mediceo è accompagnata, infatti, da una precisa politica linguistica. Innanzitutto, insieme a letterati del calibro di Cristoforo Landino e Angelo Poliziano, Lorenzo è protagonista di una rivalutazione della lingua e della cultura volgare, in contrasto con la preferenza accordata al latino dall’Umanesimo di primo Quattrocento. Sotto la guida del Magnifico e della sua corte, la cultura fiorentina quattrocentesca rivendica inoltre l’eredità di Dante e del grande Trecento fiorentino, nel tentativo di evitare che i non toscani se ne approprino definitivamente. Lorenzo parte da un presupposto chiaro: c’è continuità fra la tradizione toscana trecentesca e quella del suo secolo. In questo contesto si colloca la cosiddetta Raccolta aragonese (1477), inviata in dono dal Magnifico a Federico d’Aragona, figlio del re di Napoli: si tratta di un’antologia di testi poetici toscani di ogni epoca, dal Duecento al Quattrocento, il cui obiettivo è promuovere lingua e letteratura fiorentine. Il fiorentino parlato e scritto da Lorenzo e dai suoi contemporanei non è più però quello aureo di Dante, Petrarca e Boccaccio, bensì il frutto di una serie di innovazioni successive che sono state raccolte sotto l’etichetta di fiorentino argenteo.