Casa del Boccaccio - Ente Nazionale Giovanni Boccaccio
Sono due le città toscane intorno alle quali ruotano le vicende di Giovanni Boccaccio (1313-1375): Firenze, dove lo scrittore probabilmente nasce e dove risiede a lungo; e Certaldo, luogo d’origine della famiglia paterna in cui si ritira negli ultimi anni di vita. Se Boccaccio, con Dante Alighieri e Francesco Petrarca, forma la triade di autori toscani che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della nostra lingua, è soprattutto grazie al successo immediato e duraturo del suo Decameron. Scritta in un fiorentino di livello medio-alto, quest’opera contribuisce in modo decisivo al processo di espansione del toscano ai danni delle altre parlate locali dell’Italia medievale. Non solo: l’importanza del Decameron cresce a dismisura quando, nel Cinquecento, grammatici e lessicografi come Pietro Bembo e, poi, gli accademici della Crusca ne fanno il modello di prosa a cui attenersi. Il capolavoro di Boccaccio diventa, da questo momento, una vera e propria «Bibbia grammaticale» che generazioni di scrittori utilizzeranno come punto di riferimento linguistico e stilistico. A essere prese a modello non sono però le parti dialogate dell’opera, dove spesso l’autore si sforza – con successo – di riprodurre la lingua parlata; bensì quelle parti che costituiscono la cosiddetta “cornice”, in cui il tono si fa più elevato e prevalgono frasi lunghe e complesse di stampo latineggiante.
Giovanni Boccaccio e il Decameron: un modello per la prosa
Andrea del Castagno, Giovanni Boccaccio, 1450 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi. Courtesy of © Ente Nazionale Giovanni Boccaccio.
Sono due le città toscane intorno alle quali ruotano le vicende di Giovanni Boccaccio (1313-1375): Firenze, dove lo scrittore probabilmente nasce e dove risiede a lungo; e Certaldo, luogo d’origine della famiglia paterna in cui si ritira negli ultimi anni di vita. Se Boccaccio, con Dante Alighieri e Francesco Petrarca, forma la triade di autori toscani che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della nostra lingua, è soprattutto grazie al successo immediato e duraturo del suo Decameron. Scritta in un fiorentino di livello medio-alto, quest’opera contribuisce in modo decisivo al processo di espansione del toscano ai danni delle altre parlate locali dell’Italia medievale. Non solo: l’importanza del Decameron cresce a dismisura quando, nel Cinquecento, grammatici e lessicografi come Pietro Bembo e, poi, gli accademici della Crusca ne fanno il modello di prosa a cui attenersi. Il capolavoro di Boccaccio diventa, da questo momento, una vera e propria «Bibbia grammaticale» che generazioni di scrittori utilizzeranno come punto di riferimento linguistico e stilistico. A essere prese a modello non sono però le parti dialogate dell’opera, dove spesso l’autore si sforza – con successo – di riprodurre la lingua parlata; bensì quelle parti che costituiscono la cosiddetta “cornice”, in cui il tono si fa più elevato e prevalgono frasi lunghe e complesse di stampo latineggiante.