Teatro Verdi
La figura di Giuseppe Verdi (Roncole di Bussetto, 1813 - Milano, 1901) rappresenta pienamente lo spirito risorgimentale e il fervore che segna l’Italia nel XIX secolo: le sue opere coinvolgono l’emotività e la coscienza morale del pubblico, in un momento in cui il teatro rappresenta un luogo di incontro delle diverse sensibilità del popolo, fino a divenire, sul finire del secolo, fenomeno di costruzione dell’identità collettiva. I libretti verdiani (tra gli autori Temistocle Solera, Salvatore Cammarano e Francesco Maria Piave) nascono sotto un forte condizionamento da parte del compositore, nella ricerca di quella che egli chiama parola scenica: l’obiettivo dell’efficacia drammatica è alla base delle scelte tematiche e linguistiche; il rapporto parola-musica è tutto a vantaggio della seconda, e il codice melodrammatico si fa aulico (basta citare varianti arcaiche come inulto ‘invendicato’, sarìa, desso o le forme come àvvene ‘ce ne è, ce ne sono’ e saprollo) e antirealistico, al servizio delle esigenze comunicative della partitura. La lingua delle opere di Verdi diventa presto un patrimonio di espressioni tipiche, impresse nella memoria popolare ben oltre la fine del secolo (tra le tante: «Questa o quella per me pari sono» nel Rigoletto; «de’ miei bollenti spiriti» e «libiamo ne’ lieti calici» nella Traviata). Nel Rigoletto (su libretto di Francesco Maria Piave), opera con la quale viene inaugurato a Firenze il Teatro Verdi (1854), è possibile rintracciare le diverse componenti del melodramma verdiano. Su una base stilistica fortemente letteraria si innestano le specifiche caratterizzazioni dei personaggi, e viene dato spazio a variazioni stilistiche che comprendono anche l’oralità più marcata (con espressioni come «è matto» o «uccider quel gobbo!... che diavol dicesti»).
La parola scenica. Verdi e l’opera
Giuseppe Verdi, Lettera a Arrigo Boito, 8 Gennaio 1881, Parma, Istituto di Studi Verdiani. Courtesy of © Istituto Nazionale di Studi Verdiani.
Il Maestro era un appassionato lettore, ma non uno scrivente scrupoloso: le sue lettere appaiono influenzate dal parlato, fortemente espressive (nella punteggiatura: «se fosse stato battezzato col nome S. BACH!!!!!!»; nell’uso di dialettalismi, come mal mostoso ‘sgarbato’ e spegasc ‘minuta, brogliaccio’) e poco rispettose delle convenzioni epistolari dell’epoca.
Il Maestro era un appassionato lettore, ma non uno scrivente scrupoloso: le sue lettere appaiono influenzate dal parlato, fortemente espressive (nella punteggiatura: «se fosse stato battezzato col nome S. BACH!!!!!!»; nell’uso di dialettalismi, come mal mostoso ‘sgarbato’ e spegasc ‘minuta, brogliaccio’) e poco rispettose delle convenzioni epistolari dell’epoca.
La figura di Giuseppe Verdi (Roncole di Bussetto, 1813 - Milano, 1901) rappresenta pienamente lo spirito risorgimentale e il fervore che segna l’Italia nel XIX secolo: le sue opere coinvolgono l’emotività e la coscienza morale del pubblico, in un momento in cui il teatro rappresenta un luogo di incontro delle diverse sensibilità del popolo, fino a divenire, sul finire del secolo, fenomeno di costruzione dell’identità collettiva. I libretti verdiani (tra gli autori Temistocle Solera, Salvatore Cammarano e Francesco Maria Piave) nascono sotto un forte condizionamento da parte del compositore, nella ricerca di quella che egli chiama parola scenica: l’obiettivo dell’efficacia drammatica è alla base delle scelte tematiche e linguistiche; il rapporto parola-musica è tutto a vantaggio della seconda, e il codice melodrammatico si fa aulico (basta citare varianti arcaiche come inulto ‘invendicato’, sarìa, desso o le forme come àvvene ‘ce ne è, ce ne sono’ e saprollo) e antirealistico, al servizio delle esigenze comunicative della partitura. La lingua delle opere di Verdi diventa presto un patrimonio di espressioni tipiche, impresse nella memoria popolare ben oltre la fine del secolo (tra le tante: «Questa o quella per me pari sono» nel Rigoletto; «de’ miei bollenti spiriti» e «libiamo ne’ lieti calici» nella Traviata). Nel Rigoletto (su libretto di Francesco Maria Piave), opera con la quale viene inaugurato a Firenze il Teatro Verdi (1854), è possibile rintracciare le diverse componenti del melodramma verdiano. Su una base stilistica fortemente letteraria si innestano le specifiche caratterizzazioni dei personaggi, e viene dato spazio a variazioni stilistiche che comprendono anche l’oralità più marcata (con espressioni come «è matto» o «uccider quel gobbo!... che diavol dicesti»).