Villa dell'Albergaccio
Niccolò Machiavelli (Firenze, 1469-1527), noto ai più come storiografo e politico, nella sua carriera ricopre molti incarichi diplomatici, tanto da essere ricordato come segretario fiorentino. L’autore del Principe e delle Istorie fiorentine (conservate alla Biblioteca Nazionale Centrale) è però anche tra le voci più originali del dibattito cinquecentesco sulla lingua. Il suo Discorso intorno alla nostra lingua (1524 ca.) s’inserisce nella disputa tra i sostenitori della linea bembiana, che propongono come modello il toscano letterario del Trecento, e i fautori della teoria cortigiana, che ritengono preferibile la lingua delle cancellerie in quanto strumento collaudato di comunicazione interregionale. Machiavelli rivendica invece il primato del fiorentino vivo e parlato, cioè di una lingua naturale, inscenando uno scambio di battute con Dante che viene infine «sgannato» e costretto ad ammettere di aver scritto la Commedia nel fiorentino parlato nel suo tempo e non nel volgare illustre, la lingua artificiale teorizzata nel De vulgari eloquentia. Machiavelli sottolinea poi che nello scrivere bisogna preferire il fiorentino agli altri dialetti perché è la lingua parlata più vicina a quella letteraria ormai impostasi come modello. Per dimostrare questa tesi, l’autore del Discorso confronta le forme pane, ciance, verrà e i pronomi soggetto io e tu dell’uso fiorentino e letterario con i corrispettivi settentrionali pan, zanze e vegnirà e i pronomi soggetto mi e ti. La lingua che Machiavelli usa nel Principe riflette la teoria esposta nel Dialogo per la scelta del fiorentino contemporaneo (nel quale trovano spazio anche localismi come l’articolo el ‘il’ o la forma acquistonsi ‘si acquistano’) ma accoglie anche latinismi tipici della scripta cancelleresca.
Niccolò Machiavelli e il dibattito cinquecentesco sulla questione della lingua
Santi di Tito, Ritratto di Niccolò Machiavelli, ultimo quarto del XVI sec., Firenze, Museo di Palazzo Vecchio.
Niccolò Machiavelli (Firenze, 1469-1527), noto ai più come storiografo e politico, nella sua carriera ricopre molti incarichi diplomatici, tanto da essere ricordato come segretario fiorentino. L’autore del Principe e delle Istorie fiorentine (conservate alla Biblioteca Nazionale Centrale) è però anche tra le voci più originali del dibattito cinquecentesco sulla lingua. Il suo Discorso intorno alla nostra lingua (1524 ca.) s’inserisce nella disputa tra i sostenitori della linea bembiana, che propongono come modello il toscano letterario del Trecento, e i fautori della teoria cortigiana, che ritengono preferibile la lingua delle cancellerie in quanto strumento collaudato di comunicazione interregionale. Machiavelli rivendica invece il primato del fiorentino vivo e parlato, cioè di una lingua naturale, inscenando uno scambio di battute con Dante che viene infine «sgannato» e costretto ad ammettere di aver scritto la Commedia nel fiorentino parlato nel suo tempo e non nel volgare illustre, la lingua artificiale teorizzata nel De vulgari eloquentia. Machiavelli sottolinea poi che nello scrivere bisogna preferire il fiorentino agli altri dialetti perché è la lingua parlata più vicina a quella letteraria ormai impostasi come modello. Per dimostrare questa tesi, l’autore del Discorso confronta le forme pane, ciance, verrà e i pronomi soggetto io e tu dell’uso fiorentino e letterario con i corrispettivi settentrionali pan, zanze e vegnirà e i pronomi soggetto mi e ti. La lingua che Machiavelli usa nel Principe riflette la teoria esposta nel Dialogo per la scelta del fiorentino contemporaneo (nel quale trovano spazio anche localismi come l’articolo el ‘il’ o la forma acquistonsi ‘si acquistano’) ma accoglie anche latinismi tipici della scripta cancelleresca.