Dubbi grammaticali
Francesco Guicciardini, autografo del Libro Primo delle Storie d'Italia, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana. Courtesy of © Foto Alinari.
Francesco Guicciardini, con Niccolò Machiavelli uno dei maggiori storiografi e letterati dell’epoca, racconta le vicende storiche di Firenze, attento alla ricostruzione documentaria dei fatti. Sul piano linguistico le sue opere, attentamente sorvegliate, aderiscono al modello bembiano nel rifiuto dei fiorentinismi più marcati e nell’accoglimento di una sintassi dal sapore boccacciano.
Francesco Guicciardini, con Niccolò Machiavelli uno dei maggiori storiografi e letterati dell’epoca, racconta le vicende storiche di Firenze, attento alla ricostruzione documentaria dei fatti. Sul piano linguistico le sue opere, attentamente sorvegliate, aderiscono al modello bembiano nel rifiuto dei fiorentinismi più marcati e nell’accoglimento di una sintassi dal sapore boccacciano.
Ritiratosi dalla vita politica nel 1537, Francesco Guicciardini (Firenze, 1483 - Arcetri, 1540) dedica gli ultimi anni di vita alla composizione e alla revisione della sua Storia d’Italia. Tra i vari quaderni autografi di questo periodo, c’è un foglio sul quale lo scrittore annota una serie di alternanze linguistiche (se si debba dire desiderio o disiderio, denari o danari e simili) sulle quali non sa decidersi. I dubbi di Guicciardini riguardano perlopiù oscillazioni tra fiorentino antico (e in particolare trecentesco o “aureo”) e fiorentino moderno (quattro-cinquecentesco, “argenteo”): per esempio, gli articoli il, i / el, e, il numerale due / duoi, l’imperfetto io amava / io amavo. Oppure tra grafie e forme latineggianti o volgari: come exemplo / es(s)emplo, observare / osservare, prudentia / prudenz(i)a, ecc. Questi dubbi costituiscono un documento interessante delle incertezze che la diffusione delle teorie grammaticali del Bembo aveva suscitato soprattutto nei fiorentini. A Firenze, infatti, in virtù del prestigio linguistico di cui la città godeva, gli scrittori tendevano a uniformarsi alla lingua dei classici trecenteschi molto meno di quanto facessero i non toscani. È significativo che negli appunti del Guicciardini il nome di Bembo compaia ben cinque volte.